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Destinazione Italia: è sufficiente per favorire lo sviluppo dei beni culturali e del turismo in Italia?

In questi giorni il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera a “Destinazione Italia”, un piano in 50 interventi volti ad attrarre investimenti esteri e al rilancio della competitività per rilanciare l’immagine dell’Italia nel mondo.

Il Presidente del Consiglio Letta ha dichiarato che “l’Italia ha un drammatico bisogno di investimenti esteri, in un momento in cui è scarsa la nostra capacità di attrarli”. Non solo misure dirette ma anche azioni volte a rendere più “semplice” lo sbarco di investitori esteri in Italia, spesso impauriti da burocrazie, lentezze e percorsi ad ostacoli. E uno degli obiettivi sarà appunto quello del “pacchetto certezze”: certezze dei tempi, delle regole e del fisco.

Il testo del programma, approvato dal CDM., è stato definito un living document cioè un documento programmatico che si avvarrà della consultazione pubblica online per il completamento partecipativo da parte dei soggetti pubblici e privati che vorranno dare il proprio contributo. Per questo motivo da qualche giorno il Piano è sbarcato su internet all’indirizzo destinazioneitalia.gov.it.

Come recita il Piano “gli Italiani sono il primo asset su cui investire: un capitale umano altamente qualificato che presenta competenze di valore mondiale in molti settori, tra cui medicina, informatica, ingegneria, architettura, tutela dei beni culturali, moda e design. C’è cultura imprenditoriale diffusa, come dimostrano i quattro milioni di imprenditori e al loro continua capacità generativa”.

I 50 interventi vanno da misure sul lavoro a quelle su fisco e tributi, dai piani energetici all’efficienza nell’import/export, dalla valorizzazione o dismissioni delle partecipazioni dello stato alle fonti di finanziamento, dal sostegno alle piccole e medie imprese del made in Italy al sostegno alle start up, dal credito d’imposta per la ricerca e sviluppo agli spin-off universitari, dalla digitalizzazione della P.A. alla internazionalizzazione dei nostri sistemi formativi, dalle infrastrutture (porti, aeroporti, ferrovie, strade) allo sviluppo della green economy.

Ma sono le misure 22 e 23 sulle quali soffermarsi:

  • 22) Un turismo capace di cogliere le opportunità globali
  • 23) Valorizzare il nostro patrimonio culturale

Per quanto riguarda il turismo italiano, questo è caratterizzato da flussi dall’estero pari a circa il 50% del totale del settore. Un mercato in forte crescita in cui l’Italia è sempre fra le destinazioni preferite. Ma la “bella Italia” non basta per catalizzare l’interesse dei turisti. Bisogna, come dice il piano, normalizzare la classificazione alberghiera sul fronte di uno stellaggio che in Italia spesso e fuorviante, incentivare economicamente gli investimenti per la riqualificazione delle strutture ricettive, destagionalizzare i flussi turistici, incrementare la formazione professionale degli operatori del settore e sviluppare una strategia digitale per il turismo e che veda nel portale Italia.it una piattaforma di promo commercializzazione delle destinazioni.

Una serie di interventi seri, ma da rendere concreti, per allineare l’offerta turistica rispetto ai competitor globali che oggi, pur non essendo destinazioni attraenti come l’Italia, riescono però a catalizzare gli interessi degli investitori del settore (tour operator, grandi gruppi alberghieri, linee aeree) che sono in grado di governare e indirizzare i grandi flussi turistici.

Diventa perciò strategico “modernizzare” l’offerta del sistema Italia, ma bisognerà trovare però una concretizzazione seria nella loro applicazione ed in particolare, fra tutte:

  • La digitalizzazione dell’offerta: in un mondo in cui ormai internet è il baricentro delle decisioni di viaggio non possiamo più permetterci di essere assolutamente assenti sul web. Il portale Italia.it è stato per troppo tempo terreno di annunci ma non ha mai visto la luce con una fattezza competitiva rispetto a quanto fanno gli altri paesi
  • La formazione degli operatori del settore: l’Italia ha perso quella che era una delle più importanti qualità e cioè la ospitalità. Questa è stata drammaticamente rimpiazzata da una approssimazione da parte degli operatori che cercano il più delle volte di “spremere” il turista invece di soddisfarlo e fidelizzarlo.

Ma, probabilmente, nelle misure manca la più importante: la governance del turismo in Italia. Purtroppo oggi frammentata fra più enti che si dividono i compiti di promuovere, di valorizzare, di controllare: dal governo centrale a quello regionale fino a quello che erano (o continueranno ad essere) le provincie. E’ qui che bisogna investire per dare ordine al settore!

Sul fronte dei Beni Culturali è significativa l’enfasi data sul fatto che “nel mondo la domanda di cultura è in crescita esponenziale e che nella competizione globale sempre di più vincono i Paesi con un’identità storica e culturale forte”. Per l’Italia dovrebbe essere non solo un vantaggio competitivo ma anche la base di partenza per costruire un sistema in grado di generare sviluppo, occupazione e ricchezza sostenibile.

I beni culturali devono avere, si, un’importanza nella loro tutela ma questa non deve essere al centro delle politiche di settore.

  • Il piano, giustamente, sposta l’attenzione sui seguenti temi:
  • Il mecenatismo culturale, che può diventare la migliore integrazione per il sostegno e lo sviluppo in un settore dove i fondi sono sempre più carenti
  • La privatizzazione della gestione dei beni culturali affidandole ad operatori del terzo settore
  • La valorizzazione del nostro patrimonio attraverso l’utilizzo del nostro patrimonio “minore”: minore solo perché giace nei depositi stracolmi dei nostri musei, ma sicuramente non minore per la loro importanza.

Interventi saggi che però dovranno essere “completati”, in particolare:

  • Non si potrà stimolare il mecenatismo se non sarà accompagnato da un sostanzioso supporto sotto forma di tax credit o di incentivi fiscali: le grandi aziende, la grande finanza, i grandi mecenati non si accontenteranno di fare un nuovo Rinascimento ma dovranno essere attratti anche da benefici fiscali che daranno loro “utile e dilettevole”
  • La privatizzazione non dovrà concentrarsi sui grandi siti, attrattori di centinaia di migliaia di visitatori. Questi siti, sono già oggetto di gare pubbliche per l’affidamento dei servizi aggiuntivi. La vera svolta sarà la privatizzazione dei siti minori: siti oggi lasciati al loro destino che potrebbero diventare una grande opportunità per piccoli enti (pubblici, privati, cooperative, terzo settore) non solo sviluppando una economia oggi inesistente ma anche sgravando le amministrazioni di oneri e compiti spessi onerosi e non più sostenibili.

Ed infine la valorizzazione dei patrimoni oggi “sepolti” nei depositi dei musei: questa potrebbe essere la pietra miliare di una grande operazione di marketing attraverso gli accordi, ad esempio, con gli aeroporti di tutto il mondo (crocevia principale del turismo di oggi): creare delle teche con i reperti di migliaia di anni che rappresenterebbero il migliore spot per tutto il nostro patrimonio “emerso” nei musei con un slogan come “Se questo è quello che noi teniamo nei depositi, pensate a quello che c’è nei nostri musei!”

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